Non ho stappato bottiglie. Non sono particolarmente felice.
Per anni ci siamo accapigliati, appellandoci all'etica pubblica ed alla moralità, contro un uomo che nel frattempo ha cambiato, o forse sarebbe meglio dire accentuato, i connotati culturali, prima che politici, del nostro Paese.
Per anni, facendo il più grosso favore che avremmo potuto fargli, lo abbiamo rincorso.
E' stato sempre al centro delle nostre discussioni, sempre al centro dei nostri pensieri, sempre al centro delle nostre preoccupazioni politiche, sempre al centro delle invettive, sempre, inesorabilmente, al centro della nostra proposta politica.
L'ho fatto anche io. Per motivi che mi sembravano legittimi: difendere la Costituzione, le Istituzioni, il principio di uguaglianza di fronte alla legge, l'equilibrio fra i poteri dello Stato, la morale, l'etica, la disciplina e l'onore con il quale corre l'obbligo di servire le Istituzioni.
Da qualche tempo però mi sono accorto che più parlavamo di questo, anche per colpa di un modo di fare giornalismo che giornalismo non è, meno eravamo in grado di raccontare agli italiani l'orizzonte che avevamo da proporre, creando una frattura tragica, che ancora esiste, non fra noi e Berlusconi, ma fra noi, Berlusconi (un unicum indistinto) e gli elettori.
Non si è più riusciti a parlare di lavoro, di politiche sociali, di uguaglianza, di merito, di libertà (perché ci siamo lasciati scippare anche questa parola), di diritti, di scuola e ricerca, di ambiente, di futuro, di speranza. Ogni elezione è stata un referendum pro o contro Silvio Berlusconi.
Non si è più riusciti a discutere civilmente di politica, non si è più riconosciuto il valore della varietà delle idee, del compromesso alto della politica. C'erano solo ladri, comunisti, mafiosi.
Sono stati 20 gli anni che ci ha scippato.
Nel '94 avevo sette anni.
Da quando capisco qualcosa, Silvio Berlusconi c'è.
Da mesi ho provato a cambiare rotta. Come me tanti.
Preoccupandoci più di rendere credibile una proposta che si sviluppa in autonomia che una inutile crociata contro Silvio Berlusconi.
Preoccupandoci dei prossimi vent'anni e non dei venti passati, perché saranno quelli in cui dovremo dimostrare di essere all'altezza delle sfide che ci aspettano, in un mondo che va sempre più veloce, nel quale tenere insieme sviluppo e dignità delle persone è sempre più complicato.
Preoccupandoci di costruire una proposta complessiva che sappia mettersi alle spalle vent'anni di subalternità culturale. Perché è su questo che abbiamo mollato, andando sull'aventino in nome di una presunta superiorità etica e culturale che ha avuto come unico effetto quello di rendere la nostra proposta lontana da quella "gente" che dovevamo rappresentare.
Preoccupandoci di ricostruire un tessuto sociale completamente sfilato, in cui ogni individuo è abbandonato ad una solitudine emotiva e valoriale intollerabile, ricominciano a pronunciare parole forti come comunità.
Ecco.
Meglio occuparsi della giornata di decadenza di una persona o delle decadenze di migliaia di persone che quotidianamente combattono per arrivare alla fine della giornata?
E non mi si dica che si possono fare entrambe. La storia degli ultimi vent'anni ci racconta l'esatto contrario.
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