giovedì 19 giugno 2014

IL PD, GLI ULTRAS, FABRI FIBRA E VACCA

La politica fatta sul territorio, quella mossa dalla passione vera, dal sacrificio degli affetti più cari, quella che ti fa svegliare il sabato mattina presto per volantinare o ti fa andare ad una riunione serale al posto di uscire a bere una birra, quella politica lì, è la cosa che dovrebbe accomunarci tutti, perché è la dimensione di una comunità che si muove, con spirito di servizio, per raggiungere un obiettivo che da soli sarebbe impronunciabile ed inimmaginabile: lasciare il mondo meglio di come l'abbiamo trovato.

Se partissimo tutti da questo presupposto, se fossimo in grado di decifrare nuovamente l'alfabeto che ci tiene insieme, alcuni eccessi, evidenti in questi giorni, li avremmo evitati. Mi ero ripromesso di non scrivere post cosiddetti ombelicali, quelli cioè tutti riguardanti le vicende politiche, ma l'atteggiamento di molti in questi giorni mi lascia talmente perplesso che voglio provare ad abbozzare qualche considerazione essenziale per procedere nel progetto di riforma del Paese che, credo, è caro a tutti in questo momento. Perché la politica, come mi era capitato di dire altre volte, cammina sulle gambe degli uomini e delle aggregazioni che scelgono liberamente di formare, e parlare per un attimo di questo per me significa provare ad immaginare un modo per migliorare le decisioni che vengono prese, a tutti i livelli, dal mio, in Consiglio di Zona, il più basso, fino al Parlamento.

Sono sempre stato allergico alle etichette: Renziano, Cuperliano, Civatiano, per dire solo le ultime. Ho sempre trovato molto più interessante lavorare con le persone, ascoltarle, capirle, mescolarle, perché è solo così che si possono raggiungere i risultati migliori. Questo si può (e si deve) fare soprattutto adesso che abbiamo raggiunto il sogno per il quale molti di noi hanno scelto il partito Democratico: un partito grande, eterogeneo, che sappia stare al passo con le sfide enormi che abbiamo di fronte.

In un partito plurale atteggiamenti come quelli che ci sono stati in questi giorni sono innaturali, penso al caso Mineo. Non abbiamo bisogno degli ultras, delle curve, dei continui attacchi, con annesse risposte e controrisposte che manco Fabri Fibra e Vacca (citazione colta, qui qualche spiegazione ulteriore). A questo ci hanno ridotto vent'anni di annullamento della politica e di incrostazione di una classe dirigente. 

Non si può pensare di uscire da un partito se si perde un congresso, tradendo la propria comunità e gli ideali che la ispirano, così come non si può pensare di annullare qualsiasi tipo di dibattito interno se si ha la fortuna di vincere un congresso. Ho votato Renzi e sono contento del lavoro che sta facendo da Presidente del Consiglio, ma mi capita spesso di trovare interessanti le riflessioni di Cuperlo o Civati, magari pur non condividendole. Quelle persone fanno parte del mio Partito e, come tali, soprattutto se ho vinto, ho il dovere di ascoltarle. 

Abbiamo la necessità di alzare l'asticella del dibattito politico, almeno fra noi, cercando di coinvolgere maggiormente chi la pensa diversamente, ascoltando di più, facendo più riunioni, provando a trovare un punto di sintesi, per poi mostrarci compatti, uniti, di fronte alle responsabilità che ci siamo presi davanti al Paese, senza che nessuno provi a fare il furbo facendo la voce fuori dal coro. Ci perderebbe lui, così come ne uscirebbe male la comunità di cui fa parte.

Oggi abbiamo la fortuna di avere una nuova classe dirigente in tutto il partito, sia fra chi ha vinto sia di chi ha perso il congresso, e non possiamo permetterci di sprecare l'occasione replicando divisioni trite e ritrite con lotte insensate non tanto dal punto di vista del merito dei contenuti, ma sul piano dei toni e delle polemiche fini a sé stesse.
Usciamo dai decenni delle tifoserie e proviamo a dimostrare che, per la prima volta, questo Paese è in grado di avere una classe dirigente all'altezza, pensante, in grado di sviluppare un dibattito che non appiattisca tutti ma che crei soluzioni migliori per i cittadini che amministriamo. Sprechiamo, insomma, meno tempo a tifare e un po' di più a pensare con la nostra testa. Questo significa fare politica, che sia una discussione in mezzo ala strada mentre si prova a dare un volantino o un dibattito fatto in quel tempio sacro che dovrebbe essere il Parlamento.