giovedì 14 novembre 2013

NON SONO RENZIANO

No. Non lo sono. Almeno non nel senso che questa parola assume per molti in questo periodo.

Non faccio la guerra a chi mette al centro parole come lavoro, dignità, partecipazione e innovazione.
Non considero dei residui bellici le persone che credono ancora nei partiti come mediatori fra le istanze della società ed i luoghi nei quali vengono prese le decisioni.
Non tratto con sufficienza le persone che sacrificano il loro tempo libero nei circoli, nei quartieri o con un grembiule addosso a servire ai tavoli delle nostre feste. Anche perché tratterei male il sottoscritto.
Non rinnego le cose che ho detto fino ad un attimo prima di fare la mia scelta congressuale. Sto notando comportamenti sociologicamente interessanti: persone che sostanziano il loro fare politica in correnti che d'un tratto predicano la fine delle stesse.
Non cerco rendite, posti, piazzamenti, promesse e chi più ne ha più ne metta. Il lavoro faticoso che stiamo facendo in Consiglio di Zona 9 e a Milano mi basta e mi avanza al momento.
Non mi interessano discussioni in cui non sia messo al centro il rispetto che ciascuno di noi deve agli altri per il contributo di passione e idee che diamo al partito, pur con posizioni evidentemente diverse.
Non faccio l'ultras (per fare il tifoso c'è il Milan, ed in questo periodo sono anche sofferenze). Provo a fare politica. Che è occuparsi della cosa pubblica con sacrificio, non urlare finché la mia idea sovrasta le altre.
Ho grande rispetto per Gianni Cuperlo, uomo di elevato profilo culturale e con una sensibilità umana che ho visto in pochi.
Ho stima per Pippo Civati, i cui pensieri ho spesso condiviso su questo blog, precursore dei tempi, preparato, sempre pronto a condurre battaglie di principi e valori, che però, soprattutto in questa fase di posizionamenti congressuali, non sempre collimano con i miei, in particolare da quando ho la responsabilità di partecipare all'amministrazione di una città, esperienza che mi porta a pensare che spesso, per essere politici capaci, bisogna mediare fra ciò che si vorrebbe fare e quello che si può fare.

Voterò per Matteo Renzi al congresso del Partito Democratico.
Lo farò per diversi motivi.

Il primo, forse quello più importante di tutti, è che mi parla. Parla a me. Alla mia storia. Alla mia vita. Alle persone a cui tengo, che conosco e che frequento fuori dal partito.
Forse sarò superficiale. Forse sono il frutto dei tempi in cui sono cresciuto. Ma è così e ci posso fare poco.

Perché se è vero che dobbiamo prestare attenzione agli ultimi di questa società, a chi rimane indietro in un sistema economico che oggettivamente non lascia scampo, dobbiamo anche dirci con franchezza che gli ultimi sono diventati anche i penultimi ed i terzultimi. Abbiamo l'esigenza di costruire una proposta complessiva e complessa che sia in grado di dare opportunità a chi ha la brillantezza per farcela da solo e a chi invece potrà usufruire della rete costruita con le risorse della comunità. Abbiamo oggi il dovere di tenere insieme nella nostra proposta politica due parole inflazionatissime: equità e merito. Lo si può fare solo liberando le risorse e le energie migliori di questo Paese.
La socialdemocrazia è in crisi in tutta Europa. Fatica a garantire risposte e risorse perché si muove in un contesto storico che non è più il suo, in cui la crescita economica garantiva agli Stati di produrre politiche legate alla tradizione del welfare state. La nostra casa è il PSE. Il nostro orizzonte gli Stati Uniti d'Europa. La nostra missione è riempire di contenuti adeguati alla contemporaneità quella maledetta esigenze di equità che spinge tutti noi a fare politica. Per riuscire ad occuparci degli ultimi oggi serve che riusciamo ad accompagnare nel migliore dei modi coloro che hanno le capacità per essere primi.
Matteo Renzi non è di destra. Prova a dare risposte. Che per me hanno la stessa dignità di quelle degli altri candidati. A proposito dei primi, degli ultimi, dei penultimi e dei terzultimi.

Perché liberare quelle risorse significa oggi, in Italia, parlare di sistemi di interessi pesanti. Il 10% della popolazione che ha il 50% delle ricchezze, una pubblica amministrazione che non riesce a funzionare, sindacati troppo impegnati in battaglie di retroguardia, aziende che delocalizzano un po' per convenienze un po' per oggettiva difficoltà a fare impresa in Italia, una giustizia che si allunga senza riuscire a farsi realmente garante, una scuola che fatica ad espletare il suo ruolo educativo, un sistema fiscale non in grado di difendersi dagli evasori e di essere giusto con coloro che contribuiscono con costanza e senso civico, la criminalità organizzata che si insinua nelle piaghe create dalla crisi, un mercato del lavoro che è una jungla. E si potrebbe continuare.
Non mi sembra che Renzi si sia mai tirato indietro nel dire quello che pensava. Chi lo accusa di non avere proposte lo fa in modo strumentale.

Perché sbloccare questo Paese dall'impasse in cui si trova vuol dire mettersi contro la maggioranza del Paese stesso. Dobbiamo saperlo. A cominciare dal nostro partito. Per farlo serve qualcuno che abbia la capacità di comunicare il senso delle scelte difficili che necessariamente andranno fatte. E Matteo Renzi da questo punto di vista non ha rivali.

Perché non si può tornare indietro. La nostra società è contraddistinta da fenomeni come l'infotainment ed il politainment dal punto di vista dell'acquisizione delle informazioni. Le leadership sono indispensabili, così come la capacità di rivolgersi ad un vasto pubblico attraverso i mass media. Se si hanno contenuti ma non si riescono a trasmettere attraverso persone e storie coerenti e soprattutto credibili non si prendono voti. E se non si prendono voti non si vincono le elezioni. E se non si vincono le elezioni non si cambia la società. E i contenuti proposti restano autoreferenziali. A qualcuno di noi piace far finta di essere puro per stare all'opposizione a vita accusando gli altri di non essere in grado di governare. A me piacerebbe che il mio partito si cimentasse con la responsabilità di guidare i processi decisionali.
Oggi Matteo Renzi è l'unico in grado di associare questi due aspetti. Forse non per merito suo, forse perché i media l'hanno sponsorizzato. Non lo so. Resta il fatto che è il solo. E per questo è una risorsa per noi. Con l'auspicio che, ovviamente, crescano rapidamente altre persone in grado di sostenere con forza il nostro progetto politico.

Perché sono stufo di dovermi giustificare per il mio essere cattolico e di sinistra. Stufo dei vecchi democristiani pronti a tirar fuori la loro bandierina vaticana ad ogni piè sospinto e altrettanto stufo di una certa sinistra integralista dal punto di vista dei valori e del rispetto che dovrebbe avere verso chi nutre qualche dubbio sui loro dispenser di verità inoppugnabili. Perché dobbiamo uscire dalla logica degli ex. E costruire finalmente un Partito che sabbia fondere il meglio delle esperienze passate lasciandosi alle spalle il peggio delle controversie da prima repubblica.
Matteo Renzi non sventola bandierine e non è prigioniero di steccati ideologici che poco hanno a che fare con la dimensione dell'amministrare e del governare.

Perché, comunque la si voglia vedere, Matteo Renzi è una risorsa enorme per questo Partito, soprattutto in un momento come questo in cui le maniglie delle porte dei nostri circoli sono così distanti dalle mani delle persone normali. Non dargli una possibilità oggi significherebbe non dare una possibilità a questo Partito domani, perché, comunque la si voglia vedere, il livello di speranza che questo ragazzo ha saputo suscitare (particolarmente nella mia generazione) va ben oltre quello che tutti noi saremmo in grado di fare.

Perché non è che non veda Fioroni, Franceschini, La Torre, ed il rischio riciclo. Vedo altrettanto bene il rischio che Matteo non accetti fino in fondo la sfida del Partito, che non se ne prenda cura perché impegnato ad arrivare altrove. Così come vedo il rischio di un logorio messo in campo dal resto del Partito, nella migliore (?) tradizione democratica, ed infine quello del non avere una squadra all'altezza della leadership che viene espressa da Matteo stesso. Vedo tutto questo, ma voglio provare a fidarmi di quel:"non voglio sentire nessuno chiamarsi Renziano, ciascuno si chiami col suo nome". Probabilmente sbaglierò. Ma ci voglio sbattere la faccia.

Perché l'altra volta ho votato per Bersani non pensando a cos'era meglio per me, ma a cos'era meglio per il PD e per il Paese in quel momento. Ho visto il fallimento di quell'esperienza in campagna elettorale, nel risultato delle elezioni e nella gestione successiva alla quale forse non si può addebitare direttamente la colpa dei maledetti 101, ma almeno si può attribuire la responsabilità di aver creato lo spazio politico nel quale qualcun altro ha giocato.

Ecco.

Per ogni piccolo paragrafo si potrebbero scrivere alcuni trattati. Ho cercato di spiegare il senso della mia scelta con parole semplici e chiare. Non condivido tutto delle proposte che vengono fatte, ma oggi questa proposta è quella che sento più vicina.
Chiudo con un auspicio. Il Partito Democratico è un bene prezioso per tutti noi. Comunque vada il 9 dicembre saremo tutti dalla stessa parte. Non ce lo dimentichiamo.