domenica 18 dicembre 2011

CAMBIO LINGUAGGIO PER CAMBIARE POLITICA

Mi frullano in testa diversi pensieri dopo i fatti accaduti in questi giorni, partendo dalle tristi e note vicende della zona 9, arrivando fino al Parlamento, passando per Torino e Firenze.
Venti anni di Berlusconi hanno lasciato un solco profondo nel tessuto sociale e politico di questo paese.
In entrambi gli schieramenti, con atteggiamenti di segno opposto, l'ex Presidente del Consiglio ha catalizzato l'attenzione fino a diventare un culto, nel bene per il centrodestra, nel male per il centrosinistra.
Due tifoserie dunque (starete pensando che sono cose trite e ritrite, ma sto per arrivare al punto), portatrici entrambe di un linguaggio d'odio profondo nei confronti dell'avversario politico, attaccato sul personale, insultato con termini grevi, individuo da non ascoltare, da interrompere. Personaggio del quale farsi scherno, dal quale prendere le distanze a prescindere.
Ecco il dramma. Ecco la sconfitta più grande della democrazia.
Nessun ascolto. Nessuna analisi. Nessuna attenzione per il bene comune e per gli elettori.
Lo svilupparsi di questa dinamica ha portato entrambi gli schieramenti a non utilizzare più quel linguaggio di serietà e verità dei padri della patria, che, in verità, era già stato fortemente minato con tangentopoli.
Nei paesi "normali" le politiche dei governi trovano continuità, ove possibile, anche con i governi di segno opposto. Con gli avversari ci si confronta e, raramente, ci si scontra, sempre mantenendo toni civili.
Da noi non è possibile fare questo.
Abbiamo, tutti, adottato un linguaggio volto a distruggere, ad accusare, a mistificare la realtà, a nascondere le difficoltà, come se fossero delle colpe.
Il linguaggio forma la sostanza delle cose.
Per uscire da questo ventennio servirà che chi vuole essere protagonista del cambiamento si riappropri, con le parole prima ancora che con i fatti, della serietà e della responsabilità, dell'anteporre il bene comune a quello della propria persona, del proprio partito, della propria coalizione.
Smetterla, tutti, con un linguaggio d'odio e di individuazione di un avversario da inseguire con i forconi.
Ci aspettano tempi difficili, forse bui, forse, semplicemente, tempi che ci faranno riassaporare le cose belle della vita.
Per rendere costruttivi questi passaggi serve però che chi fa politica sia sobrio nel linguaggio, educato. Che non abbia paura di evidenziare le proprie debolezze a fronte di un continuo impegno per la risoluzione dei problemi. Questo, sia chiaro, non vuol dire tornare indietro verso ingessature e stili poco consoni ai giorni che viviamo. Significa adottare un linguaggio di verità e serietà nel contesto della "politica pop".
Una continua tensione all'altro e ai cittadini che, da sola, consentirebbe di smettere di strepitare ed urlare contro questo o quello, ma aiuterebbe ad alzare l'asticella del confronto su posizioni di compromesso verso l'alto.
Ecco, questo voglio dire, dopo questi due giorni in cui ho anche sofferto a livello personale per le accuse ingiuste che mi sono state rivolte e per le situazioni sgradevoli cui sono stato sottoposto in Consiglio di Zona:
la verità paga sempre, la fragilità va condivisa, la forza delle proprie idee va perseguita con fermezza ed educazione. Gli argomenti che si usano non hanno bisogno di essere strillati. Le proprie ragioni non hanno bisogno di essere affermate con la violenza. La comunicazione non deve mirare al consenso, ma all'interesse dei cittadini.
In fondo la motivazione per cui faccio politica è quello in cui credo: un uomo che 2000 anni fa si è calato nel mondo in punta di piedi, morendo per salvare l'uomo.
Non ho lo stesso coraggio, né la stessa forza, ma voglio riappropriarmi, almeno per quello che posso, di una politica che metta al centro le persone e non altre stupide logiche anacronistiche.
In buona sostanza, perseguiamo il bene comune, non qualche punto percentuale nei sondaggi.