Ho cominciato a fare politica alle superiori nel mio Liceo, il "Casiraghi", al Parco Nord. Prima nel collettivo e poi, in quarta e quinta, come Rappresentate degli Studenti nel Consiglio d'Istituto.
E' lì che ho imparato il teorema della scala, e cominciato a rifletterci.
Perché, fin da allora, le autogestioni non funzionavano più tanto, nel senso che la motivazione più grande dei partecipanti era saltare le lezioni, più che ragionare su alcuni temi che "noi organizzatori" ritenevamo importanti. Già lì si cominciava ad intravedere il grande scollamento dai temi della partecipazione di una generazione cresciuta a pane e Grande Fratello (senza alcuna accezione negativa per la trasmissione). Già lì discutevamo, ponendoci il problema, di come coinvolgere maggiormente i nostri compagni (nel senso scolastico del termine, fortunatamente c'erano persone che la pensavano in modo diverso). Già allora avevo intuito che l'unica soluzione era cercare di abbassare la nostra asticella, ammainando leggermente la bandiera del nostro giovane idealismo.
Oggi questo problema si ripresenta (in realtà non se n'è mai andato) con tutta la sua forza, su scala decisamente maggiore.
Perché mentre ci siamo occupati, certamente in buona fede, dell'emergenza democratica, della difesa delle Istituzioni, dei processi di Berlusconi, della compravendita di cosiddetti Onorevoli, era il concetto stesso di democrazia che si sgretolava, lentamente ma inesorabilmente, sotto il nostro sguardo, in quel momento posto più in alto di quanto sarebbe servito. Perché anziché porci il problema di come ricostruire (o costruire) il tessuto democratico dall'ABC, dal lavoro, dall'uguaglianza, dal rispetto che le Istituzioni si devono guadagnare dando il buon esempio, abbiamo dato l'impressione di dare per scontato che quel tessuto tenesse a prescindere.
Il divario fra chi fa politica e un cittadino, anche mediamente informato, è sempre più ampio. Chi si (pre)occupa delle politica in alto, chi si (pre)occupa di come pagare i libri scolastici ai propri figli, o di come fare una famiglia, sempre più in basso. Ed il primo simbolo di questa divaricazione, non a caso il più mediaticamente esposto, è il reddito.
E' così che si rompe il patto democratico.
Perché è vero che la politica dovrebbe suscitare un sogno, garantire una speranza, puntare in alto, immaginare una società diversa, ma è altrettanto vero che è riuscita a farlo solo quando ha saputo rispondere, facendosene carico, dei problemi più concreti delle persone.
Ecco il teorema della scala.
La democrazia funziona solo quando i gradini di distanza sono pochi, pochissimi. Perché l'elettore e l'eletto sono vicini, possono aiutarsi nei momenti di difficoltà, hanno la stessa prospettiva, possono parlarsi e ascoltarsi, anche litigare e strattonarsi, eventualmente, per cercare di portare l'altro verso le proprie ragioni (gradini), ma senza rischiare di cadere.
Quando i gradini di distanza diventano troppi, invece, le prospettive, le cose che si vedono, sono molto diverse, non ci si può aiutare, non si sente cosa dice l'altro e, nel caso si tentasse di stabilire un contatto, di tirare l'altro verso le proprie ragioni, la distanza sarebbe tale da far inciampare e cadere entrambi.
Ecco, io credo che la politica dovrebbe fare qualche passo indietro, scendere qualche gradino, avendo ovviamente ben presente dove vuole arrivare, ma ricominciando a ristabilire quel contatto indispensabile per la tenuta del sistema democratico. Che altrimenti non funziona. Ed invece è una delle cose più belle inventate dagli uomini e dalle donne. Ed è compito soprattutto della nostra generazione tutelarla.