Per l'arroganza del mio idealismo e del pensare di avere tutte le verità in tasca.
Per aver parlato molto e a volte ascoltato troppo poco.
Per non essere stato all'altezza delle sfide che avevo davanti e per aver avuto paura.
Per essermi dimenticato che la forma è importante almeno quanto il contenuto.
Per non aver dato fiducia a chi ha provato a dirmi delle cose e ad aprirmi gli occhi.
Per non aver creduto fino in fondo nella modernità.
Per non aver tenuto a bada il mio ego che a volte straripa. E fa danni.
Per non essere stato all'altezza della fiducia che, tanti o pochi che siate, mi avete concesso qualche mese fa eleggendomi e, ciascuno a suo modo, prendendomi come punto di riferimento.
Per non aver insistito sulla novità e su nuove prospettive.
Per non aver ribaltato il tavolo, a volte per necessità, a volte per una errata interpretazione delle cose.
Per non essere stato sempre coerente, lasciandomi andare a tifo da stadio e a considerazioni fuori luogo.
Credo che avrò, avremo, molto da lavorare. Senza tirare indietro la gamba e mettendoci sempre la faccia. Ripartendo da due parole: umiltà e modernità. Forse, con i giusti compagni di viaggio, potremo riuscire ad ottenere quello per cui facciamo politica con così tanta passione: un mondo migliore, più equo, più attento agli ultimi, più interessato al futuro.