Sono loro i periti e gli artigiani che mandano avanti le migliaia di piccole e medie imprese che fanno il «made in Italy». Sono gli architetti, gli avvocati o gli ingegneri che per stipendi magrissimi mandano avanti i grandi studi i cui vecchi fondatori girano in Porsche. Sono i giornalisti che tengono in piedi molte nostre testate grazie ad un lavoro di qualità pagato una minima parte di quello dei «grandi vecchi». Sono i ricercatori che consentono ad interi dipartimenti universitari di resistere. Sono i volenterosi che gestiscono le migliaia di cooperative che con costi minimi erogano servizi per conto di comuni, province e regioni, consentendo risparmi che gli enti locali magari spendono per finanziare opere fatte da amici costruttori o per ripianare i buchi creati nelle aziende pubbliche dagli incompetenti messi lì con logiche politiche. E sono sempre loro, tutti loro, che per anni hanno pagato tasse crescenti sulle loro forme contrattuali atipiche già molto penalizzanti per consentire alle generazioni precedenti di andare in pensione a cinquant’anni o anche meno.Solo un appunto. La generazione successiva, quella cui appartengo, quella nata negli anni '80, purtroppo si ritrova nella stessa situazione. Anzi, forse siamo messi peggio. Perché i contratti sono indecenti, perché siamo in piena crisi, perché le opportunità sono poche per tutti, ma se non hai esperienza sono ancora meno (e l'esperienza, se stavi studiando, magari anche lavorando in un call center, quando te la potevi fare?), perché la classe dirigente di questo Paese non capisce che è da noi che passerà il futuro. E allora ben vengano le proteste che qualcuno sta organizzando e il tirarsi su le maniche e l'immaginarsi insieme un'Italia più accogliente, da cui non si sia costretto a scappare
martedì 7 agosto 2012
COSTRETTI A SCAPPARE
Irene Tinagli, oggi, su La Stampa:
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