L’Italia è davvero messa male, se non riesce a tacere neppure di fronte alla beatificazione di Giovanni Paolo II. Da una parte, qualcuno se ne appropria per fini politico-elettorali: penso alle interviste a raffica di Berlusconi sulla tradizione cristiana interpretata a mo’ di Costituzione parallela, ma pure alle dichiarazioni cretine di una mia collega del Pdl – deputato semplice? macché: Consigliere per le questioni politiche del ministro degli Esteri – che definisce l’uccisione di Bin Laden “un miracolo di Karol Wojtyla”. Dall’altra, qualcun altro – consapevolmente ignaro di calendari liturgici, di domeniche della Divina Misericordia, di suor Faustina Kowalska e compagnia bella – prende la parola dal palco di piazza San Giovanni in Laterano e contesta la data scelta da Benedetto XVI per la beatificazione del suo predecessore (“In un anno ci sono 365 giorni…”), come se il mondo ruotasse attorno al concertone dei sindacati. Io non voglio neppure perderci tempo – né sulle vergognose furbizie berlusconiane, né sull’anticlericalismo mai domo in una certa sinistra – e preferisco raccontarvi qualcosa di più personale. (qui trovate il resto del post)E' triste pensare come in questo paese non ci sia spazio per gettare ponti anziché distruggerli, per comprendersi anziché dividersi, senza nemmeno aver ascoltato.
Si può non essere d'accordo con tutto quello che Giovanni Paolo II ha fatto nella sua vita, ma è sotto gli occhi di tutti la maestosità e la grandezza di quest'uomo. Alcune volte bisognerebbe stare zitti ed ascoltare le ragioni degli altri, la passione, le sensazioni, ciò che li anima nel profondo, sia l'immensa gratitudine per un papa nelle cui parole soffiava lo Spirito Santo, sia la richiesta di spazio per una festa, quella per il lavoro, in cui, in fondo, è messa al primo posto la dignità dell'uomo.
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