domenica 26 ottobre 2014

TERTIUM NON DATUR

Già. Tertium non datur, soprattutto, sembrerebbe, dopo la giornata di ieri.
Il buonsenso stretto fra le tenaglie di due prove muscolari, utili solo a scavare un solco di cui davvero nessuno sente l'esigenza in un momento come questo.
Ero alla prima Leopolda nel 2010. C'erano Giuseppe Civati e Matteo Renzi, ci prendevano per matti. 
Dall'altra parte c'era un establishment di Partito la cui colpa più grande è stata quella di non esser riuscito ad andare oltre sé stesso, invischiato in caminetti in cui si elaboravano le tattiche per combattere una battaglia contro Berlusconi che ci ha impedito di sviluppare una proposta credibile per il nostro Paese. Ricordo bene, a titolo esemplificativo, l'arroganza con cui Stefano Fassina trattò chi sosteneva che, forse, il contratto unico a tutele progressive poteva essere un buon modo per eliminare la dualità che, nei fatti, aveva e ha tutt'ora il mercato del lavoro in Italia. 
Il raccolto di quanto non seminato lo abbiamo visto tutti alle elezioni del 2013.
A quella prima Leopolda c'era quella parte di Partito Democratico che credeva fortemente in questo progetto e che non ne poteva più di dualismi: ex DC-PC, ex DS-Marghrita, Veltronini-Dalemiani, ecc. Non ce ne servono altri, così come non ci servono assolutamente le tifoserie.

Eravamo convinti che la sintesi fra quelle due anime, fatta con onestà e con un confronto serio, fosse l'essenza stessa di un Partito Democratico a vocazione maggioritaria, aperto, inclusivo, moderno. 

Ieri si è celebrata la distanza maggiore fra due mondi che, per quanto mi riguarda, dovrebbero dirigersi verso lo stesso porto da prospettive diverse. Se stiamo a sinistra è perché non sopportiamo le ingiustizie, perché la sorte degli ultimi e dei penultimi ci sta a cuore, perché prima dei soldi arrivano le persone ed i loro diritti. Delegittimarsi su questo è incomprensibile oltre che inutile, nessuno può arrogarsi il diritto di avere alcuna patente.

Quel famoso 40% di cui parliamo tanto è stato il risultato della squadra del Partito Democratico, guidata da Matteo Renzi. Deve essere chiaro a tutti noi che non c'è 40% senza Matteo Renzi, ma non c'è nemmeno 40% senza la squadra del Partito Democratico. Se Marco Van Basten non avesse avuto in difesa Franco Baresi e a centrocampo Carlo Ancelotti non sarebbe riuscito a vincere quello che ha vinto. 

Se il Partito Democratico vuole tradurre sé stesso in un'azione di Governo coerente, serve che chi lo guida passi da un'arroganza necessaria per arrivare dove è arrivato (ed è uno dei motivi per cui al Congresso l'ho votato, non lo dico con un'accezione negativa), alla saggezza e all'umiltà che serve per ascoltare le ragioni di chi fa parte della tua comunità. Questo non significa far finta che non ci sia stato un Congresso e che non ci siano vincitori e vinti. Vuol dire però, per esempio, non continuare ad umiliare i tuoi Parlamentari mettendo la fiducia (peraltro in un quadro problematico di delegittimazione del Parlamento), provando a trovare soluzioni che tengano conto, in parte, anche delle altre posizioni in campo, perché quelle ragioni sono quelle di una parte del tuo elettorato (e di una parte degli iscritti del tuo Partito, se questo oggi conta ancora qualcosa). 

Perché delle volte, come dissi in quella prima Leopolda, le cose si risolvono con un po' più di umiltà e con spirito di servizio, senza eliminare un sano conflitto, ma ascoltando le ragioni degli altri. Soprattutto se stanno nel tuo stesso Partito.

Non parlo della CGIL, che ha colpe enormi. 
Il punto è che se ci immaginiamo un sistema tedesco come punto di arrivo non abbiamo bisogno di un Sindacato delegittimato, semmai rinnovato, in grado di rivoluzionare i suoi equilibri interni, di sostenere le ragioni di chi lavora in condizioni oggettivamente non dignitose; così come abbiamo bisogno di una Confindustria che sappia andare oltre, tutelando i tanti imprenditori che creano lavoro e mettendo all'angolo chi inquina le acque della concorrenza stipulando contratti che sfruttano il lavoro.

Il PD deve stare lì in mezzo, è nato per questo. Per stare dalla parte migliore del nostro Paese.
Siamo ancora in tempo per evitare che il solco che si è creato ieri diventi l'ennesimo disastro della sinistra di questo Paese. Di solito, in questi casi, il primo passo lo fa chi è in posizione di forza. Credo che domani tocchi al Premier e Segretario Matteo Renzi provare a rimettere insieme i cocci, chiedendo a chi è in cerca di protagonismo di farsi da parte. Non abbiamo bisogno dei Fassina e dei Serra, per intenderci. 
Per una volta, la terza via, potrebbe essere la strada da percorrere. Non la piazza, non la convention, ma il Partito Democratico.

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