venerdì 30 settembre 2011

TAGLIAMO IL CORDONE CON LA CGIL?

Rispetto alla lettera della Bce oggi si possono leggere due articoli interessanti e contrapposti. Uno sull'Unità, uno di Stefano Menichini sul Post, entrambi in area Pd.
La cosa mi spaventa.
Perché mentre per le coppie di fatto, i temi "eticamente sensibili", ho sempre pensato che ci si possa pacificamente dividere, sulla politica economica un partito come il nostro dovrebbe avere una linea chiara, unitaria, all'avanguardia.
Al momento, purtroppo, siamo un tantino succubi della linea Cgil, che poi è anche quella del responsabile economico del Pd Stefano Fassina: ingenti immissioni di denaro pubblico finanziati da un debito pubblico europeizzato per rilanciare il paese.
Io mi trovo, da sempre, su posizioni molto più riformiste, sostenendo la necessità di cambiare completamente il modello di mercato del lavoro con il contratto unico proposto da Ichino (non basta che il lavoro a progetto costi di più dei contratti a tempo indeterminato) legato ad una riforma profonda del welfare, con una patrimoniale che copra una detassazione sul lavoro. Dall'immobile al mobile, come dice Prossima Italia nel suo vocabolario. Un'idea di rinnovamento piegata a quella di uguaglianza. E, come diceva giustamente Adinolfi ieri, quella più grande in questo momento sono i padri che fanno la lotta per sé stessi, dimenticandosi che lasceranno in mutande i figli. E questo, la Cgil, sembra non averlo compreso a fondo.
La cosa che da sempre mi domando è come possiamo essere realmente riformisti, realmente rivoluzionari, rimanendo legati ad un sindacato che ha, come mission, il mantenimento dello status quo.
Io credo, come sta facendo Ed Milliband in Inghilterra, che dobbiamo tagliare il cordone malato che abbiamo con la Cgil, nel rispetto per il lavoro che stanno facendo ma anche per i ruoli diversi che dovremmo avere.
Insomma, per dirla in soldini, per rilanciare l'Italia la Cgil non è la compagna di strada più adeguata.

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