Una lettera di alcuni laici cattolici, impegnati in politica, sui fatti di questi giorni:
Dopo aver sentito e letto i numerosi interventi di questi giorni sulle vicende giudiziarie del Presidente del Consiglio, non sentiamo il bisogno di intervenire sul merito delle questioni che occupano da troppi giorni le prime pagine dei giornali. Come politici che tentano di offrire la loro testimonianza cristiana nel servizio alle istituzioni e a questo nostro Paese, ci sentiamo piuttosto in dovere di manifestare la nostra preoccupazione per la deriva che sta interessando in modo sempre più evidente la vita pubblica italiana. Un’intera generazione politica, e non facciamo differenze di schieramento, rischia di venire precipitata in un formalismo che accompagna alla proclamazione di valori e tradizioni che spesso vengono qualificati con l’impegnativo aggettivo di cristiani, una serie di comportamenti pratici che sconfinano nella categoria dell’a-moralità e pretendono di non diventare oggetto di giudizio in nome dell’assoluta intangibilità della sfera privata e della libertà, altrettanto assoluta, di scelta dell’individuo. Per chi fa politica la dimensione pubblica non è un accidente o un qualcosa di totalmente separato dalla propria esperienza di vita (anche privata), tanto quanto per chi si definisce credente la testimonianza quotidiana non può essere separata dalle proprie abitudini di vita, anche privatissime. Non si tratta di ergersi a giudici di nessuno; per questo esiste la magistratura nella città terrena e il buon Dio in quella celeste. Il punto è un altro: il patrimonio morale e culturale di un popolo o di una nazione non sono indipendenti dal comportamento e dalle abitudini di chi in essi riveste ruoli di responsabilità, a qualsiasi livello.
Il Vangelo non è tenero con chi si definisce cristiano e rischia di recare scandalo, ovvero di offrire una testimonianza dissonante e contraria rispetto a quanto proclama o afferma di credere: meglio che si leghi una macina al collo e si getti nel mare.
La rilevanza penale di un comportamento è fondamentale per il giudizio terreno di chi è investito del compito di vigilare sul rispetto delle leggi, ma le conseguenze morali e culturali di ogni nostro comportamento vanno oltre il codice penale e toccano elementi più profondi e radicali quali l’ethos collettivo e la possibilità di indicare criteri per vivere una vita buona. La grave preoccupazione per l’emergenza educativa che ha spinto i vescovi italiani a dedicare un intero decennio della comunità cristiana proprio al tema della trasmissione dei valori, suona purtroppo come profetica: quali modelli offriamo ai giovani? Quali prospettive educative si aprono di fronte ai più piccoli? Che cittadini stiamo formando? Sono domande che, se guardiamo a quello che sta accadendo in questi mesi, rischiano di condurci attraverso riflessioni colme di smarrimento se non di angoscia.
La politica farà le sue scelte e adotterà le sue strategie che condurranno probabilmente a un duro scontro tra chi difende le ragioni del Presidente del Consiglio e chi ritiene che i suoi comportamenti siano lesivi della dignità dell’intero Paese. Questo non toglie però nulla alla necessità di una profonda riflessione sulle conseguenze che abitudini e comportamenti che si trascinano da tempo e di cui i protagonisti si sono a più riprese vantati, rischiano di far precipitare sull’intera società italiana. Anche dalle gerarchie ecclesiastiche si sono opportunamente levate, negli ultimi giorni e non solo, voci preoccupate al proposito.
Nessuno ha titolo per considerarsi paladino esclusivo del cristianesimo in politica e nessuno può arrogarsi il diritto di invocare i valori cristiani, e tanto meno il Vangelo, per difendere le proprie scelte politiche che rimangono, è bene ricordarlo, nel campo dell’opinabile e del provvisorio.
Ci piace richiamare, per concludere, un passaggio della Lettera a Diogneto, uno scritto del padri apostolici: i cristiani “dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. (…) Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano” (V,9-11.13). Anche oggi c’è bisogno di cristiani così e di politici che, dicendosi cristiani, abbiano l’umiltà di servire e rifuggano l’arroganza del potere.
Il Vangelo non è tenero con chi si definisce cristiano e rischia di recare scandalo, ovvero di offrire una testimonianza dissonante e contraria rispetto a quanto proclama o afferma di credere: meglio che si leghi una macina al collo e si getti nel mare.
La rilevanza penale di un comportamento è fondamentale per il giudizio terreno di chi è investito del compito di vigilare sul rispetto delle leggi, ma le conseguenze morali e culturali di ogni nostro comportamento vanno oltre il codice penale e toccano elementi più profondi e radicali quali l’ethos collettivo e la possibilità di indicare criteri per vivere una vita buona. La grave preoccupazione per l’emergenza educativa che ha spinto i vescovi italiani a dedicare un intero decennio della comunità cristiana proprio al tema della trasmissione dei valori, suona purtroppo come profetica: quali modelli offriamo ai giovani? Quali prospettive educative si aprono di fronte ai più piccoli? Che cittadini stiamo formando? Sono domande che, se guardiamo a quello che sta accadendo in questi mesi, rischiano di condurci attraverso riflessioni colme di smarrimento se non di angoscia.
La politica farà le sue scelte e adotterà le sue strategie che condurranno probabilmente a un duro scontro tra chi difende le ragioni del Presidente del Consiglio e chi ritiene che i suoi comportamenti siano lesivi della dignità dell’intero Paese. Questo non toglie però nulla alla necessità di una profonda riflessione sulle conseguenze che abitudini e comportamenti che si trascinano da tempo e di cui i protagonisti si sono a più riprese vantati, rischiano di far precipitare sull’intera società italiana. Anche dalle gerarchie ecclesiastiche si sono opportunamente levate, negli ultimi giorni e non solo, voci preoccupate al proposito.
Nessuno ha titolo per considerarsi paladino esclusivo del cristianesimo in politica e nessuno può arrogarsi il diritto di invocare i valori cristiani, e tanto meno il Vangelo, per difendere le proprie scelte politiche che rimangono, è bene ricordarlo, nel campo dell’opinabile e del provvisorio.
Ci piace richiamare, per concludere, un passaggio della Lettera a Diogneto, uno scritto del padri apostolici: i cristiani “dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. (…) Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano” (V,9-11.13). Anche oggi c’è bisogno di cristiani così e di politici che, dicendosi cristiani, abbiano l’umiltà di servire e rifuggano l’arroganza del potere.
Giuseppe Adamoli, Alessandro Alfieri, Emanuela Baio, Mario Barboni, Giovanni Bianchi, Luigi Bobba, Carlo Borghetti, Daniele Bosone, Gianluca Bracchi, Virginio Brivio, Giovanni Burtone, Ezio Casati, Mario Cavallaro, Paolo Corsini, Silvia Costa, Paolo Cova, Paolo Danuvola, Lino Duilio, Andrea Fanzago, Enrico Farinone, Luca Gaffuri, Francesco Garofani, Gianantonio Girelli, Marco Granelli, Lorenzo Guerini, Daniela Mazzuconi, Alessia Mosca, Giovanni Orsenigo, Beppe Pagani, Flavio Pertoldi, Fabio Pizzul, Gigi Ponti, Francesco Prina, Marco Riboldi, Matteo Richetti, Ettore Rosato, Antonio Rusconi, Giovanni Sanga, Fabrizio Santantonio, Carlo Spreafico, Gianluca Susta, Patrizia Toia e, nel mio piccolo, la firmo anche io...Stefano Indovino.
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